Carissimi,
“Come si abbandona l’amore divino per quello delle creature” è il titolo del terzo capitolo che divideremo in due parti. Volendo aggiungere un punto interrogativo per trasformarlo in una domanda, potremmo “tranquillamente” rispondere: dando più spazio a noi stessi e alle nostre esigenze umane mettendo Dio in un cantuccio. Francesco di Sales, molto più saggio di noi, non liquida la questione in modo così veloce, L’abbandonare Dio, dice, per noi creature è una vera sventura e “noi non amiamo Dio senza interruzione, perché in questa vita mortale la carità si trova in noi come semplice abitudine, della quale, come hanno fatto notare i filosofi, ci serviamo quando ci aggrada e mai contro il nostro volere”. Non è una visione pessimistica della fede, ma una osservazione che, per tanti aspetti, rispecchia la realtà. Non è forse vero che tante volte si “accantona” il nostro rapporto con Dio per seguire altre vie? Ed è proprio quando si mette, momentaneamente, da parte Dio che il nemico ci attacca: “Quando non usiamo la carità che si trova in noi…il nostro spirito essendo già pigro per se stesso…può essere colpito da qualche oggetto perverso e sorpreso da qualche tentazione”. Come sempre c’è la complicità della nostra volontà che lascia spazio alle cattive suggestioni. Se ricordate bene, il Signore, nella parabola del seminatore, parla di spine che soffocano il buon seme della grazia e dell’amore celeste (Cfr. Mt 13,22; Lc 8,14). Quella dell’allontanamento da Dio per seguire false illusioni è storia vecchia; l’Autore fa riferimento ad Eva “la cui rovina cominciò con una certa leggerezza che essa commise nell’accettare la discussione col serpente, compiacendosi di sentir parlare dell’accrescimento della propria sapienza…lasciandosi andare al consenso, commise quello sventurato peccato al quale poi attirò anche il marito”. Quella dei nostri progenitori è una storia che si ripete ogni volta che, con leggerezza, guardiamo ad un bene “immediato” che poi si trasforma in un male altrettanto immediato. Il Nostro ci offre l’esempio dei colombi che si pavoneggiano nell’aria e non si accorgono che i rapaci sono pronti a ghermirli e il più delle volte ci riescono. Continua, malinconicamente: “Ahimè, Teotimo, se non ci perdessimo nella vanità dei piaceri caduchi, e, soprattutto, nella compiacenza del nostro amor proprio, ma anzi, una volta che abbiamo la carità ci impegnassimo a volar diritto dalla parte dove essa ci conduce, le suggestioni e le tentazioni non ci ghermirebbero mai; ma poiché, come colombi sedotti e ingannati dalla stima di noi stessi, ritorniamo su di noi e tratteniamo troppo il nostro spirito tra le creature, spesso veniamo sorpresi da tranelli dei nostri nemici, che ci rapiscono e ci divorano”. L’invito di Gesù ad essere prudenti e semplici (Cfr. Mt 10,16), oggi più che mai, dovrebbe essere accolto e vissuto con più convinzione.
Preghiamo
Accompagna con la tua benevolenza, Padre misericordioso, i primi passi del nostro cammino penitenziale, perché all’osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito. Amen
Oggi, anche se non hanno le ali, tanti “uccelli rapaci” voleranno sulle nostre città e sulle nostre teste; non abbassiamo la guardia. Buona giornata,
PG&PGR