Carissimi,
eccoci al diciannovesimo capitolo nel quale Francesco di Sales si impegna a farci comprendere “Come la penitenza senza l’amore sia imperfetta”. Proviamo, se possiamo, a rileggere il capitolo 13 della Prima Lettera di San Paolo ai cristiani di Corinto, il famoso “Inno alla Carità”: ci accorgeremo presto come tutto quello che facciamo, penitenza compresa, debba essere animato dalla carità, cioè dall’amore verso il prossimo che trova la sua origine e il suo fine nell’amore di Dio che spesso viene dato per scontato, rischiando però di “declassarlo” a nostro favore. Infatti, continuando il suo discorso sulla penitenza e riconoscendone l’indiscussa validità, il Nostro afferma che spesso il pentimento “si opera nell’interesse della nostra anima, della sua felicità, della sua bellezza interiore, del suo onore, della sua dignità, e, in una parola, per amore di noi stessi, anche se beninteso, amore legittimo, giusto e ben regolato”. Allora si tratta di fare un salto di qualità e mettere al centro di qualsiasi opera di bene l’amore di Dio. Proviamo a farci una domanda: cosa ci spinge ad accostarci al Sacramento della Riconciliazione? Senza dubbio, possiamo rispondere, il pentimento per il male commesso; ma, dice Francesco, bisogna stare bene attenti che l’amore per il nostro bene spirituale non sia superiore all’amore di Dio. Cosa ci consiglia, dunque? Lasciarci guidare dalla continua “riscoperta” del bene ultimo che è l’amore di Dio in tutte le cose: “L’inizio delle cose buone è buono, il loro progredire è migliore, ottima la fine; tuttavia l’inizio è buono in quanto principio, e il progresso in quanto progresso, pertanto il voler finire l’opera quando è all’inizio o quando sta progredendo sarebbe sconvolgere l’ordine delle cose”. Pensiamoci bene: da piccoli abbiamo imparato a voler bene ai nostri genitori, un amore “piccolo” animato anche dalla necessità; da adulti questo amore è maturato: li amiamo per quello che essi “sono” per noi. La stessa cosa dovrebbe avvenire per l’amore di Dio. E Francesco commenta: “Cominciare ad imparare è assai lodevole, ma chi cominciasse con l’intenzione di non perfezionarsi mai farebbe una cosa irragionevole. Il timore e gli altri motivi di cui abbiamo parlato sono lodevoli per gli inizi della sapienza cristiana, che consiste nella penitenza; ma chi per deliberato proposito non volesse mai pervenire all’amore, che è la perfezione della penitenza, offenderebbe grandemente colui che ha destinato tutto al suo amore, come a fine di tutte le cose”. L’Autore conclude questo capitolo citando il versetto 3 dell’Inno alla Carità che abbiamo menzionato sopra sottolineando che tutto è imperfetto, pentimento e buoni propositi compresi, fin quando questi non vengono “mescolati” con l’amore: “Possiamo dire con verità che se anche il nostro pentimento fosse così grande da farci sciogliere in lacrime di dolore e spezzarci il cuore dal rincrescimento, se non abbiamo l’amore di Dio a nulla ci gioverebbe per la vita eterna”. Consideriamoci, dunque, degli “apprendisti” dell’amore di Dio nell’umile consapevolezza che non diventeremo dei “professionisti” avendo sempre qualche cosa da apprendere…per grazia di Dio!
Preghiamo dicendo semplicemente:
Signore insegnaci ad amare Te sopra ogni cosa; sappiamo che tutto il resto non ci mancherà. Amen.
Ed oggi sforziamoci di fare tutto per amore di Dio. Buona giornata,
PG&PGR