Carissimi,
con il nuovo anno iniziamo anche il diciottesimo capitolo del secondo libro del TAD dal titolo “Come l’amore si pratichi nella penitenza e, in primo luogo, come ci siano diversi generi di penitenza”. Prima di tutto descriviamo cosa intende Francesco di Sales per penitenza. Dice: “La penitenza è, in genere, un pentimento con cui si rigetta e si detesta il peccato commesso, con il proposito di riparare, per quanto è possibile, l’offesa e l’ingiuria fatta a colui contro il quale si è peccato.”
Quindi, qui non si riferisce tanto alla penitenza legata al sacramento della Riconcializione (la recita di un Pater, Ave, Gloria, ecc.), quanto ad un atto riparatorio che deve essere associato al pentimento che, da solo, non sarebbe sufficiente. Per fare un esempio: se ho offeso volontariamente qualcuno, se ho parlato male di lui/lei, non è sufficiente confessarsi e pentirsi di questo, devo fare di tutto per chiedergli umilmente scusa; e se ho rubato, devo in qualche modo restituire. L’Autore ci dice che Tertulliano, uno dei primi autori cristiani, anche se un po’ discusso (per questo non è stato annoverato tra i Dottori della Chiesa- n.d.r.) , nel suo Trattato sulla Penitenza, spiega che anche i pagani praticavano alcune forme di penitenza, ma vuote e, spesso, inutili. Francesco, invece, vuole parlarci della “penitenza virtuosa che, secondo le ragioni da cui proviene, è di vario genere” e, dopo aver fatto riferimento ad alcuni famosi personaggi storici che, in seguito ad azioni non proprio esemplari, essendo pagani, si sono imposti atti di penitenza, asserisce che “esiste anche un’altra penitenza che è veramente morale, e pertanto religiosa, e in certo modo divina, in quanto procede dalla conoscenza naturale che si ha di aver offeso Dio peccando”. Questo vuol dire che, arrecando una grave offesa a qualcuno, essendo questi, come noi, figlio/a di Dio, offendiamo lo stesso Creatore. Pensate: se qualcuno offendesse pesante semente una persona a noi cara, non ci sentiremmo forse offesi anche noi? Il Nostro prosegue poi facendo riferimento ad un altro filosofo greco, Epitteto, che abbiamo già incontrato altrove, molto vicino al cristianesimo: “Questo filosofo, anche se ancora pagano, conosceva che il peccato offende Dio e che la virtù l’onora, e voleva, per conseguenza, che l’uomo si pentisse, anzi, ordinava che si facesse l’esame di coscienza alla sera” e cita queste sue parole condivise con il grande filosofo e matematico Pitagora: «Se hai agito male, redarguisciti aspramente; se hai agito bene, sii contento». Ma è possibile, ci chiediamo, che già a quei tempi, si potesse parlare di “esame di coscienza”? Pare proprio di sì e dobbiamo rammaricarci come oggi, questa bella abitudine dei nostri nonni e bisnonni, sia praticamente sconosciuta. E di questo, noi preti, siamo in qualche modo responsabili. E’ però innegabile che nella società odierna, in vari campi, spesso si usa l’espressione «Che facciano un po’ di esame di coscienza!» Peccato che questo invito sia sempre rivolto ad altri! E noi cristiani a chi lo rivolgiamo?
Preghiamo con le parole della liturgia che oggi ricorda i Santi Basilio e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa
O Dio, che hai illuminato la tua Chiesa con l’insegnamento e l’esempio dei santi Basilio e Gregorio Nazianzeno, donaci uno spirito umile e ardente, per conoscere la tua verità e attuarla con un coraggioso programma di vita. Amen
Stasera, prima di cadere tra le braccia di Morfeo, ripensiamo alla nostra giornata facendo un piccolo esame di coscienza. Buona giornata,
PG&PGR