Carissimi,
per meglio comprendere ciò che Francesco di Sales vuole dire in questa ultima parte del sedicesimo capitolo, pensiamo sia bene fare riferimento a quanto il Signore Gesù dice ai suoi discepoli durante la sua Ultima Cena con loro, dopo che Giuda, il traditore, si era allontanato “nella notte”:« Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via.»(Gv 14, 1-4) Gesù, sapendo ciò che sta per accadere, non vuole che i suoi discepoli si turbino, si disperdano perdendo la speranza; l’episodio dei discepoli di Emmaus (Cfr. Lc 24,13-35) ci dà una ulteriore conferma che questo “timore” di Gesù era ben fondato. Inoltre non dimentichiamo che le attese di tutti coloro che attendevano un “Messia liberatore” dall’oppressione dei romani, erano andate “in fumo”. Francesco ci fa notare come le promesse e le assicurazioni divine accrescono l’inquietitudine dell’uomo (gli stessi apostoli avevano chiesto a Gesù quale fosse il tempo della ricostituzione del regno d’Israele At, 1,6 n.d.r.), ma si affretta ad aggiungere per rassicurarci: “l’assicurazione che Dio ci dà che il paradiso esiste per noi, rafforza immensamente il desiderio che abbiamo di possederlo, e tuttavia affievolisce, anzi distrugge, l’agitazione e l’inquietudine recataci da quel desiderio, in modo che il nostri cuori, per le promesse fatteci dalla divina bontà, rimangono completamente appagati.” Questo appagamento, afferma, “è la radice di quella santissima virtù che chiamiamo speranza” Essa produce due grandi atti di virtù: “con l’uno attende da Dio il godimento della sua somma bontà, con l’altro aspira a quel santo godimento”. Nel nostro animo, dunque, dovrebbero essere presenti questi due “atti di virtù”, lo sperare e l’aspirare e tra questi, dice ancora il Nostro, c’è soltanto una piccola differenza: “speriamo le cose che attendiamo dagli altri e aspiriamo alle cose che perseguiamo da noi stessi”. E’ facile capire che qui viene chiamata di nuovo in causa, la nostra cooperazione attraverso la volontà che, per quanto molto spesso debole, viene rinforzata dalla grazia divina. Nel pensiero salesiano sperare e aspirare non possono essere separati essendo “l’aspirazione un germoglio della speranza, come la nostra cooperazione lo è della grazia”. Se ben ricordate, nel capitolo quattordicesimo, Francesco ci aveva parlato del “sentimento dell’amore di Dio che si riceve con la fede”; ora lo conferma dicendo che la speranza e le sante aspirazioni “lo compiono mediante quell’amore di desiderio che tende al nostro bene”. Questo è un processo di crescita dell’anima attraverso la fede, un progredire nel desiderio dell’amore di Dio, un desiderio che diventa speranza tendendo al sommo bene che è Dio. Ed è per questo, conclude il nostro Autore che “la speranza è una virtù divina e teologale”. Attenzione” Il detto popolare “chi di speranza vive disperato muore” è frutto dell’azione del maligno sempre invidioso del nostro rapporto con Dio.
Oggi la liturgia ci invita a meditare sui Santi Innocenti. Quella orribile strage continua ancora oggi in tanti paesi del mondo…Preghiamo
Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra. Amen
Ed oggi un piccolo sforza in più per coniugare meglio la nostra speranza con le nostre buone aspirazioni. Buona giornata,
PG&PGR