Carissimi,
il tredicesimo capitolo del primo libro è breve, ma intenso e in esso Francesco di Sales ci parla de “La diversità degli amori”. L’amore, in tutti i tempi, è stato definito in vari modi ed egli, nel TAD, lo divide in due grandi “categorie”: l’amore di benevolenza e l’amore di concupiscenza.
Dice che si parla di amore di concupiscenza, quando si ama qualcosa (o qualcuno) “per il vantaggio che speriamo ricavarne”; un “amore” dunque interessato. L’amore vero, di benevolenza, “è quello per il quale amiamo qualcosa (qualcuno) per il suo bene”. E’ l’amore disinteressato, che è disposto a dare anche senza ricevere nulla in cambio. Infatti, prosegue: “Cos’altro significa provare amore di benevolenza per una persona se non volerle bene?” Potrebbe sembrare una cosa ovvia, eppure tante troppe volte, questi due tipi di amore vengono confusi, vissuti male, anche sfiorando l’egoismo. All’amore di benevolenza il Salesio aggiunge la “compiacenza e il desiderio del bene altrui: “Se colui al quale vogliamo del bene possiede già questo bene, allora lo amiamo per il piacere e la contentezza che proviamo per quel tal bene che già possiede; così si forma l’amore di compiacenza, che è un atto della volontà col quale essa si congiunge e si unisce al piacere, alla contentezza, al bene altrui. Ma se colui al quale vogliamo del bene non l’ha ancora, glielo desideriamo, e quest’amore si chiama amore di desiderio”. La compiacenza e il desiderio del bene altrui sono un ottimo rimedio contro l’invidia, sempre in agguato, che indebolirebbe l’amore vero. Ma anche nella benevolenza possono esserci delle differenze e il de Sales definisce “benevolenza semplice” cioè quella che si prova quando, da parte del destinatario di questo amore non c’è corrispondenza (amare qualcosa o qualcuno senza essere corrisposti, ad esempio, “amare” una cosa inanimata o qualche personaggio famoso); “ma quando c’è reciprocità si chiama amore di amicizia”. E tale reciprocità, continua, suppone tre cose: “che gli amici si amino scambievolmente, che sappiano di amarsi e che abbiano tra loro comunicazione, libertà e insieme familiarità”. Queste ultime tre condizioni sono fondamentali: saper comunicare con l’altro apertamente, sinceramente, saper aprire il proprio cuore senza timore di essere giudicati; sentirsi liberi e far sentire libero l’altro/a senza “ingabbiarlo/a” egoisticamente; vivere questo rapporto in modo profondo. La Bibbia, tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento ci offre esempi luminosi a questo proposito. Lo stesso Gesù, nell’ultimo suo discorso riportato nel Vangelo di San Giovanni, è molto esplicito. Per comodità ve ne riportiamo una parte: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.
Per quanto questo capitolo sia breve, preferiamo, per oggi, fermarci qui e lasciare più spazio alla riflessione personale ringraziando il Signore per il dono degli amici.
Ricorrendo in questo giorno la memoria del Santo Papa Giovanni Paolo II, preghiamo con le parole della liturgia
O Dio, ricco di misericordia, che hai chiamato il santo Giovanni Paolo II, papa,
a guidare l’intera tua Chiesa, concedi a noi, forti del suo insegnamento,
di aprire con fiducia i nostri cuori alla grazia salvifica di Cristo, unico Redentore dell’uomo. Amen
Ed oggi, una preghiera in più per i nostri amici. Buona domenica,
PG&PGR