Carissimi,
vi sarete accorti certamente che viviamo in continua agitazione. La causa è determinata dalle tante preoccupazioni, di ogni tipo, che affollano la nostra mente. L’ansia ne è il risultato finale ed è una vera e propria malattia che colpisce un sempre crescente numero di persone, soprattutto giovani. Strano a dirsi, ma esiste anche una sorta di ansia e di agitazione spirituale. Nel capitolo di cui ci occupiamo oggi, il IX della seconda parte della Filotea, che Francesco di Sales intitola “Le aridità che ci affliggono nelle meditazioni”, veniamo messi in guardia nei confronti di tale stato d’animo. Dice il Nostro: “Se ti capita, o Filotea, di non provare alcuna attrattiva né alcuna consolazione nella meditazione, ti prego di non agitarti, ma apri la porta alle preghiere vocali: lamentati di te stessa con Nostro Signore, confessa la tua indegnità, pregalo di aiutarti”. L’aridità spirituale la si ritrova anche in tanti scritti ascetici e mistici e può colpire tutti, indistintamente. Alcuni esempi: San Bernardo, nei sermoni sul Cantico dei Cantici, si chiede: “Come si è asciugato il mio cuore?” San Giovanni della Croce la chiama “La notte oscura”. Potremmo citare tanti altri santi che si sono soffermati su questo argomento per averli vissuti direttamente. Lo stesso San Francesco di Sales, come ricorderete, negli anni giovanili è stato vittima, seppur momentaneamente, della “tentazione della disperazione”. Dunque questa aridità spirituale non deve spaventare e, soprattutto non deve portare alla rinuncia. Ci vengono suggeriti alcuni rimedi che, forse, ci potrebbero sembrare un po’ “estremi”: “Prendi un libro e leggilo con attenzione fino a che il tuo spirito si riprenda pienamente; qualche volta sprona il cuore con atti e movimenti di devozione esteriore: prostrati per terra, metti le mani in croce sul petto, abbraccia il Crocifisso; questo, si capisce, se ti trovi in luogo appartato.” Forse, Francesco, facendo memoria di quanto accadde ad Anna, la madre del profeta Samuele, che pregando il Signore per il dono di un figlio, venne presa, dal sacerdote Eli, per ubriaca (cfr. 1Sam 1,9-18), molto saggiamente e prudentemente raccomanda che questo non venga fatto in pubblico. Ma anche in tal caso qualcosa potrebbe non “funzionare”. Ci arrendiamo? No, assolutamente! Ecco un ulteriore consiglio: “E se, dopo tutto ciò, sei come prima, per quanto grande sia la tua aridità, non avvilirti, ma rimani con devoto contegno davanti a Dio.”. Conoscendo bene la vita di corte porta l’esempio dei “cortigiani”, e questi non mancano mai, anche ai nostri tempi e anche se li chiamiamo con altri nomi…: “Quanti cortigiani, nel corso dell’anno, fanno cento volte l’anticamera del principe senza speranza di potergli parlare, ma soltanto per essere visti da lui e compiere il loro dovere.” Un pericolo che tutti possono correre, ma soprattutto noi religiosi, è quello di considerare la preghiera più come un dovere da compiere che un momento d grazia:“Così, mia cara Filotea, noi dobbiamo recarci all’orazione semplicemente per compiere il nostro dovere e dimostrare la nostra fedeltà. Che se poi piace alla divina Maestà di rivolgerci la parola e fermarsi con noi con le sue sante ispirazioni e consolazioni interiori, questo sarà per noi un grande onore e motivo di un piacere delizioso”. In questi casi il dono più grande che dobbiamo chiedere al Signore è quello di insegnarci ad avere pazienza con noi stessi. Come ben sappiamo i tempi del Signore non coincidono con i nostri! Ci tornano alla mente gli episodi evangelici della vedova e del giudice “sordo” (Lc 18,3-5) e, meglio ancora, quello della donna cananea (Mt 15,22-28). Certo, non possiamo negare che, a volte, il Signore ci mette “in attesa”, ma è proprio in questi momenti che la nostra fede in Lui deve essere “più forte del suo ‘silenzio’”. Il testo dice ancora: “Ma se non ci fa questa grazia, non rivolgendoci la parola, come se non ci vedesse e come se non fossimo alla sua presenza, non per questo dobbiamo andarcene, anzi, al contrario, dobbiamo rimanere lì, davanti alla somma Bontà, con un contegno devoto e sereno; gradirà molto la nostra pazienza e noterà la nostra fedeltà e la nostra perseveranza; e quando ritorneremo davanti a Lui, ci favorirà e si fermerà con noi con le sue consolazioni, facendoci assaporare tutto il fascino dell’orazione.” A questo punto potremmo, lecitamente chiedere, fino a che punto dobbiamo essere pazienti? Ed ecco la risposta di Francesco che conclude il capitolo: “Ma anche se non dovesse farlo, accontentiamoci, Filotea; è già un grandissimo onore trovarci presso di Lui, al suo cospetto.” Siamone certi: non è una magra consolazione!
Preghiamo
Signore, ci vergogniamo a dirlo, ma tante volte, nonostante il nostro impegno, ci sentiamo vuoti, sfiduciati, aridi. Le prove della vita sono tante e tanta è la tentazione di sentirci abbandonati, o quanto meno inascoltati, da Te. Ti chiediamo di aumentare la nostra fede e la nostra speranza e di credere sempre di più nel Tuo amore di Padre.
Ed oggi, di fronte a qualche difficoltà, facciamo un piccolo esercizio di pazienza. La Primavera appena iniziata sia anche una nuova fioritura per i nostri animi. Dunque, buona…ri-fioritura,
PG&PGR
P.S.
…e se siamo stati un po’ lunghi…prendetevela col nostro Amico Francesco!