Lettera di Natale 2016 del nostro Parroco

Di seguito pubblichiamo la lettera di Natale 2016 che il nostro Parroco Padre Gianni scrive a Gesù e la risposta del Figlio di Dio, lettere che ogni anno Padre Gianni legge a tutta la comunità riunita durante la notte di Natale. Una scambio epistolare tra il Parroco e Gesù che ormai è diventato un appuntamento fisso della nostra comunità parrocchiale.

Roma, Natale 2016

“Orsù dunque, Signore mio Dio, insegna al mio cuore come e dove cercarti, dove e come trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove ti cercherò? Se poi sei ovunque, perché non ti vedo presente? Ma certo, tu abiti in una luce inaccessibile. E dov’è la luce inaccessibile, o come mi accosterò ad essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà ad essa sì che in essa io possa vederti? Inoltre, con quali segni, con quale volto ti cercherò?”

Caro Gesù,
non molti giorni fa ho riletto questo brano di S. Anselmo di Aosta e sono rimasto perplesso pensando che sono le stesse domande che, nei momenti di difficoltà, di solitudine, di sconforto, di paura, noi uomini continuiamo a rivolgerti. Ci guardiamo dentro, ci guardiamo attorno e il male riesce ad offuscare il nostro cuore e la nostra mente tanto da non farci percepire la tua presenza. Presi come siamo dalle nostre cose, rischiamo di perdere in senso della speranza. Il mondo sembra essersi messo a girare troppo in fretta, a volte forse anche al contrario: è come se non ci fosse più spazio per tutto quello che ci hai insegnato. Pazienza, tolleranza, disponibilità, generosità, gratitudine, compassione, gentilezza, sembrano essere parole e sentimenti che appartengono ad altri tempi, ad un mondo ormai lontano. Talvolta mi chiedo cosa stia succedendo nel cervello dell’uomo del terzo millennio! L’uomo si è stancato di essere solamente uomo o, sempre più schiavo della superbia del peccato originale, si è stancato di te? Vogliamo fare da soli, come eterni adolescenti, a rischio di “scornarci”.
Eppure i tanti mali che affliggono l’umanità dovrebbero aiutarci a riflettere sulla nostra “pochezza” e spronarci a far emergere ed alimentare il bene. E mi chiedo: in questa eterna lotta tra il male e il bene, noi da che parte stiamo, io da che parte sto? E’ possibile non rendersi conto di quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri? La divisione regna sovrana in tanti, troppi campi: nella politica, nell’economia, nel mondo della scuola e del lavoro, nello sport e nella stessa Chiesa.
Negli ultimi documenti Papa Francesco ci ha invitati a riscoprire in noi e negli altri la gioia dell’essere cristiani e durante l’anno Santo della Misericordia ha ribadito costantemente che l’uomo può e deve contare su un Dio che è Padre e
che vuole usare misericordia verso ogni suo figlio.. Ma cosa è rimasto, di questo tempo di grazia, nel nostro cuore, nel nostro agire quotidiano? Cosa ne abbiamo fatto dei tanti pellegrinaggi, delle tante celebrazioni, delle tante iniziative che volevano confermare la nostra volontà di essere misericordiosi come il Padre? Le nostre ristrettezze mentali sono tali da farci dimenticare che l’amore è gioia per chi lo dà e per chi lo riceve?
L’amore, uno dei doni più grandi che tu hai fatto all’uomo, continua ad essere trafitto, oscurato e sconvolto da atti di terrorismo, dalle bombe che cadono su popolazioni inermi, da cariche di esplosivo che, spesso veicolate da bambini, esplodono in luoghi frequentati anche da tanti loro coetanei; amore oscurato e sconvolto dalle tante chiusure verso chi fugge da situazioni di guerra e di persecuzione. Quel vergognoso muro di Berlino che per ventotto anni ha diviso in due il nostro continente, dopo essere stato finalmente abbattuto ventisette anni fa, è stato riedificato, sotto altre forme in tanti paesi e, in maniera subdola, in tanti cuori.
Gesù, proprio mentre scrivo, arriva la triste notizia di un nuovo attentato proprio a Berlino: altre vite innocenti spezzate dall’odio. Mi chiedo quando finirà questa spirale di assurda follia?
Nonostante questo, Gesù, non volendo perdere la speranza, soprattutto nelle nuove generazioni, con la collaborazione dei loro animatori, ho chiesto ai ragazzi di alcuni gruppi dell’Oratorio parrocchiale di scrivere brevemente che cosa avrebbero voluto chiederti per questo Natale. Ebbene, nel leggere quei biglietti anonimi, sono rimasto fortemente colpito da tanta sincerità lucida e determinata. Cosa hanno chiesto? Il dono della pazienza, imparare ad essere responsabili, aiuto per aiutare gli altri, soprattutto chi non crede; imparare a superare le paure con speranza e fiducia, a dire grazie, a perdonare, a dialogare; hanno chiesto maggiore unità, serenità, la pace del cuore. Con un velo di commozione mi sono trovato a pensare che questi ragazzi hanno saputo esprimere al meglio quello che Papa Francesco ha sintetizzato coniando un nuovo verbo: misericordiare. Questi saranno gli uomini e le donne di domani e, se riusciranno a mantenere questa semplicità e spontaneità, il mondo potrebbe veramente essere migliore, più autentico e vivibile.
Gesù, come hai visto, quest’anno, nel nostro presepe, ti abbiamo fatto nascere sotto una tenda, in mezzo alle rovine che ricordano i tanti paesi distrutti dal terremoto. Sì, sotto una tenda come tanti nostri fratelli che in pochi minuti hanno perso le persone più care tra le macerie delle loro case. Signore, aiutaci a non dimenticarli, a non cedere alla tentazione di una pietà e di una solidarietà subitanee che, passato il momento della commozione, rischiano di cedere il passo al disimpegno e all’oblio. Fa’ che la superficialità e la corruzione, non continuino a rendersi complici della forza della natura che potrebbe essere maggiormente controllata e resa meno devastante. Affidiamo alla tua misericordia infinita quei 298 fratelli e sorelle e alla consolazione che solo tu sai dare, i loro familiari.
Affidandoti ancora una volta questa comunità parrocchiale, coloro che ci hanno preceduto e quelli che verranno dopo di noi, i nostri ammalati e gli anziani, le nostre famiglie, i nostri giovani e i nostri bambini, tutti coloro che hanno, in seno ad essa, delle responsabilità, chiedo per tutti la tua benedizione, l’intercessione materna di Maria, mamma tua e nostra, quella paterna di San Giuseppe tuo papà terreno e quella fraterna del nostro Santo patrono Francesco di Sales.
E voglio chiudere questa lettera usando ancora le parole di Sant’Anselmo:
“Insegnaci a cercarti e mostrati quando ti cerchiamo; non possiamo cercarti se tu non ce lo insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Signore, fa’ che ti cerchiamo desiderandoti e ti desideriamo cercandoti; fa’ che ti troviamo amandoti e ti amiamo trovandoti”.
Buon compleanno, Gesù.
Tuo Gianni

Paradiso, Natale 2016

“Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo”.


Caro Gianni,
ho voluto iniziare la risposta alla tua lettera usando le parole dello stesso Anselmo di Aosta che hai citato. Da allora sono passati dieci secoli e le domande che vi ponete, non sono affatto cambiate. L’oppressione fisica e spirituale che le preoccupazioni provocano in voi, appaiono sempre insormontabili, insostenibili. E questo non mi meraviglia affatto. L’animo umano è maggiormente propenso a mettere in evidenza quanto di negativo c’è nel mondo togliendosi, o quanto meno limitando, la possibilità di scorgere quanto di bello e di buono è presente in esso. In questo modo, hai detto bene, si rischia di perdere il senso della speranza lasciandosi dominare dal pessimismo che trova sempre più terreno fertile nei vostri animi.
Con questo, non voglio dire che bisogna camminare, per usare una vostra espressione, con le fette di prosciutto sugli occhi. No, gli occhi vanno tenuti ben aperti tanto per accorgersi del male che è sempre in agguato, quanto per cogliere anche i più piccoli segni di bene. Certo, sono meno eclatanti, meno evidenti, forse meno coinvolgenti; non finiscono, il più delle volte, sulle pagine dei giornali, ma non per questo sono meno importanti e non devono passare inosservati. In un mare in tempesta, quando la barca sembra essere abbandonata alla furia del vento e delle onde, quando si cede alla tentazione di gridare “si salvi chi può”, una piccola luce lontana che appare e scompare nell’oscurità, può riaccendere la speranza di poter giungere in un porto sicuro. “Uomini di poca fede, perché dubitate?” E’ quello che ho chiesto ai miei discepoli tanti secoli fa, in quella notte di tempesta quando, terrorizzati, mi hanno rimproverato dicendo “Non ti importa che moriamo?” Avrei voluto dir loro: “Se non mi importasse, non sarei sceso qui tra voi, non sarei venuto ad impelagarmi con la vostra povera umanità, non sarei venuto a mettere la mia
vita nelle vostre mani”. Ma non l’ho fatto, non avrebbero capito sconvolti com’erano. Imparate dunque ad aprire gli occhi del cuore e, anche in mezzo alla tempesta, riuscirete a vedere quella piccola luce. Andate in quella direzione, remate con tutte le vostre forze mettendo la prua contro le onde del male e quella luce, pian piano si farà più vicina, più visibile, più grande e rassicurante.
E visto che, come tu stesso dici, avete bisogno gli uni degli altri, una volta ritrovata la rotta, diventate voi stessi luce per quelli che fanno più fatica perché incontrano maggiori difficoltà o semplicemente perché sono più deboli e fragili. “Voi siete la luce del mondo”. Queste parole portatele stampate nel cuore e nella mente pensando che la luce è anche segno di gioia. Gioia per chi ritrova un cammino che aveva perso, gioia di chi si sente accolto così com’è, gioia di amare e sentirsi amati, gioia nel pensare che Dio si fida di voi tanto da chiedervi di essere misericordiosi come Lui.
Che bello leggere le richieste di quei ragazzi dell’Oratorio che si stanno aprendo alla scena della vita con tanta speranza e tanta fiducia e da me vogliono imparare a superare le loro paure, a perdonare, a dialogare; qualcuno mi ha chiesto l’aiuto per imparare ad aiutare gli altri, soprattutto i loro amici che non credono. Tanta freschezza e tanta spontaneità meritano di non essere deluse. Sta a voi educatori, ai genitori, a voi comunità parrocchiale alimentare queste speranze e queste attese. I giovani hanno bisogno del vostro aiuto. Se è vero che questi sono gli uomini e le donne di domani, è altrettanto vero che devono essere guidati e sostenuti con tanto amore e tanta pazienza dagli uomini e dalle donne di oggi. Ognuno senta su di sé questa responsabilità affinché io possa dire un giorno: ero piccolo, fragile, inesperto, confuso, impaurito e tu mi hai aiutato a crescere, mi hai insegnato, anche in mezzo a tante ingiustizie e tanta crudeltà, a non coltivare sentimenti di odio, di vendetta e di chiusura, hai continuato ad indicarmi la via del bene.
Sì, certo, ho visto il vostro presepe: la tenda al riparo della quale mi avete fatto nascere in mezzo alle rovine di tanti paesi distrutti dal terremoto, i mezzo a quei tanti miei fratelli e sorelle che hanno perso affetti e tutto ciò che avevano per condurre una vita dignitosa. Quando questo tempo natalizio sarà finito e il presepe smontato, fate bene attenzione che quelle rovine rimangano impresse nel vostro cuore, nella vostra mente e nella vostra fattiva solidarietà.
In quanto alle responsabilità umane, in qualche modo sempre presenti quando la natura si scatena, quando l’odio acceca gli uomini e li rende simili a belve assetate di sangue, le metto nelle mani giuste e misericordiose di mio Padre; la straziante realtà di tante vite spezzate possa essere di monito per il futuro perché il terremoto, le alluvioni, le frane, la violenza di ogni genere, non sono avversari invincibili. Uomo, l’intelligenza che ti è stata data non asservirla al tuo tornaconto personale, ma mettila sempre, responsabilmente, a servizio del tuo prossimo.
Siate tutti a servizio del bene; tutti impegnati a far crescere in umanità l’umanità; allargate il cuore e la mente, allontanate da voi la tentazione dell’idolatria verso il denaro e il potere, non cedete alle lusinghe dell’ego-latria e non dimenticate che tutti possono fare molto al proprio posto, quel posto che io gli ho dato.
A te e a quanti avranno modo di ascoltare o leggere queste parole, l’augurio di un Natale Santo e a tutti dico: siate forti, coraggiosi, operatori di pace e di giustizia, affabili, accoglienti, generosi.
Entrando nella vostra chiesa guardatemi bambino indifeso nella mangiatoria di Betlemme, poi alzate gli occhi e guardatemi appeso, oltraggiato e ucciso sulla croce. Betlemme e il Calvario: è questa la sintesi della mia vita terrena, la sintesi del mio amore per voi, per ognuno di voi.
Tuo, Gesù.