Carissimi,
nella seconda parte di questo impegnativo capitolo, il de Sales sottolinea quanto sia importante imparare ad amare profondamente Dio superando l’amore per se stessi. Per quanto l’amore sia qualcosa di innato nell’uomo, bisogna saperlo esercitare partendo dalla sua origine che è Dio. Lasceremo, dunque, molto più spazio alle sue parole affinché possiate leggerle con calma e, soprattutto, meditarle. Ora andiamo al testo: “Ora, è vero tuttavia che, come la chiara visione della divinità produce infallibilmente la necessità di amarla più di noi stessi, così l’intravedere, ossia la conoscenza naturale della divinità, produce infallibilmente l’inclinazione che tende ad amarla più di noi stessi. Teotimo, la volontà, tutta destinata all’amore del bene, come potrebbe conoscere anche poco un sommo bene, senza essere almeno per poco inclinata ad amarlo sommamente? Fra tutti i beni non infiniti, la nostra volontà preferirà sempre nel suo amore quello che le è più prossimo, e, soprattutto, il suo proprio; ma vi è così poca proporzione fra l’infinito ed il finito, che la nostra volontà, conoscendo un bene infinito, ne è senza dubbio scossa, inclinata e spinta a preferire l’amicizia di questo abisso di bontà infinita ad ogni altro amore, anche a quello di noi stessi”. Tali espressioni, come avrete capito, sono proprie di chi è veramente innamorato di Dio. Ma dovremmo esserlo tutti ed imparare a dire ogni giorno: “Sono tuo, o Signore, e solamente tuo debbo essere; tua è la mia anima, e solamente per te deve vivere; tua è la mia volontà, e solo per te deve amare; tuo è il mio amore, e solo a te deve tendere. Ti debbo amare come mio primo principio, poiché sono tuo; ti debbo amare come mio fine e mio riposo, essendo io per te; ti debbo amare più del mio essere, poiché il mio essere sussiste in te; ti debbo amare più di me stesso, essendo io tutto tuo e vivo in te”. Troppo lungo da ricordare? Forse sì, ma potrebbe bastare anche soltanto l’ultima frase, quella in neretto. L’amore, prosegue l’Autore, porta necessariamente all’unione: quella coniugale, ad esempio, oppure quella dell’amicizia, spirituale, e se per ipotesi, esistesse una “bontà infinita”, con la quale, però, non ci fosse possibilità di unione, non potremmo amarla in senso stretto e “molto meno potremmo avere la carità nei suoi confronti, giacché la carità è un’amicizia e l’amicizia non può che essere reciproca, avendo per fondamento la comunicazione e per fine l’unione”. Questi concetti non sono campati per aria e, come scrive in nota il Balboni “Francesco sente propria l’esperienza che scrive”. Avviandosi alla conclusione del capitolo, il Nostro rivolge a tutti noi queste parole che suonano come un caldo invito: “Quanto a noi, mio caro amico Teotimo, vediamo bene di non poter essere veri uomini senza avere l’inclinazione ad amare Dio più di noi stessi, né veri cristiani senza attuare questa inclinazione. Amiamo dunque più di noi stessi colui che è per noi più di tutto e più di noi stessi. Amen, è vero”. A questo punto potremmo chiederci: ma in tutto questo, l’amore del prossimo, che posto occupa? Domanda più che pertinente alla quale l’Autore risponderà nel prossimo capitolo.
Preghiamo
Signore, aiutaci a superare la tentazione di accontentarci del minimo indispensabile nell’amare Te e rendici “insaziabili” facendoci scoprire ogni giorno la bellezza dell’amarti più di noi stessi. Amen
Ed oggi rispondiamo con gioia a questo invito e…buon appetito. Buona giornata,
PG&PGR