Carissimi,
qualche giorno fa, come certamente ricorderete, parlando dei voti che si emettono con la professione religiosa, abbiamo detto, per esperienza diretta, che il più impegnativo è il voto di obbedienza. A questa, Francesco di Sales, dedica il capitolo tredicesimo dicendo che “la terza caratteristica dell’ispirazione consiste nella santa obbedienza alla Chiesa e ai superiori” e che la pace e la dolcezza del cuore, di cui ci ha parlato ieri, sono inseparabilmente congiunti all’umiltà, ma quella vera. Dice infatti: “Non chiamo umiltà quell’insieme di cerimonie, di parole, di gesti, di baciamenti della terra, di riverenze, d’inchini, quando ciò viene fatto, come spesso accade, senza nessun sentimento interiore della propria abiezione e della giusta stima del prossimo. Tutto ciò non è altro che una vuota perdita di tempo di spiriti deboli, e deve dirsi piuttosto parvenza di umiltà che vera umiltà. Parlo invece di un’umiltà nobile, reale, intima, soda, che ci rende malleabili alla correzione, duttili e pronti all’obbedienza”. Il nostro Autore, a causa del suo servizio di Vescovo, spesso si è trovato a dover dialogare con i regnanti e anche con i cortigiani e constatare di persona come tanti “spiriti deboli” si comportavano di fronte ai potenti. Ma l’obbedienza ha un “limite” che si evidenzia quando il “disobbedire” è dettato da un bene superiore. Il giovane Francesco, inviato dal padre all’Università di Padova per studiare la sola Giurisprudenza, in qualche modo, disubbidisce al genitore iscrivendosi anche alla facoltà di Teologia. Lui stesso dirà: «Ho studiato Legge per far piacere a mio padre e teologia per far piacere a Dio e a me stesso». Altra sua “disobbedienza”, sempre nei confronti del padre, è stata quella di accettare la missione nello Chablais contro la volontà di quest’ultimo. Una cosa del genere era successa, nei confronti dei superiori, a san Simeone Stilita che abbiamo già incontrato in passato. Il de Sales racconta un episodio fondamentale della vita di questo santo che, anche se un po’ lungo (ci scusiamo se vi ruberemo un po’ di tempo in più), crediamo sia opportuno e interessante riportare integralmente: “Mentre l’impareggiabile Simeone era ancora novizio a Teledo, si mostrò inflessibile agli avvertimenti dei superiori, che volevano impedirgli di praticare tanti strani rigori, con cui infieriva disordinatamente contro se stesso, e per questo fu alla fine mandato via dal monastero, come poco incline a mortificare il cuore e troppo dedito a mortificare il corpo. Ma richiamato più tardi e divenuto più devoto e più savio nella vita spirituale, si comportò ben diversamente, come dimostrò nell’azione seguente. Quando gli eremiti sparsi per i deserti nelle vicinanze di Antiochia seppero che faceva una vita straordinaria sopra una colonna, sulla quale sembrava o un angelo della terra o un uomo del cielo, gli inviarono un loro rappresentante, al quale ordinarono di parlargli da parte loro in questo modo: «Perché, o Simeone, lasciata la strada maestra della vita devota, seguita già da tanti nostri grandi e santi antecessori, ne segui una sconosciuta agli uomini e così lontana da tutto quello che è stato visto e udito fino al presente? Lascia, o Simeone, cotesta colonna, e unisciti agli altri, adattandoti al modo di vivere e al metodo di servir Dio usato dai buoni padri che furono prima di noi». Se Simeone avesse ascoltato il loro consiglio, e se, per accondiscendere alla loro volontà, si fosse mostrato pronto a voler venire giù, ordinarono al rappresentante che lo lasciasse libero di continuare nel genere di vita iniziato, perché quei buoni padri dicevano che dalla sua obbedienza si sarebbe potuto conoscere chiaramente aver egli intrapreso quel modo di vivere per ispirazione divina; ma se invece avesse resistito, e, disprezzando la loro esortazione, avesse voluto seguire la propria volontà, determinarono che bisognava tirarlo giù per forza, e fargli abbandonare la sua colonna. Il rappresentante dunque, venuto alla colonna, ebbe appena il tempo di compiere la sua missione, che il grande Simeone, senza indugio, senza riserva, senza replica alcuna, si accinse a discendere con obbedienza e umiltà degna della sua straordinaria santità. Ciò vedendo: «Fèrmati, o Simeone — disse il delegato — sta dove sei, persevera con costanza e fatti animo; prosegui da valoroso nella vita intrapresa, poiché la tua dimora su cotesta colonna è ispirata da Dio»”.
Preghiamo invocando l’intercessione di questo santo semi sconosciuto
O profeta di Dio, san Simeone, uomo giusto, fiduciosi ricorriamo a te: continua ad estendere la tua protezione sulle nostre comunità religiose e parrocchiali, che a te si affidano; assisti le nostre famiglie e ottieni ad esse pace e prosperità. Amen
Forse ci capiterà, oggi, di dover obbedire a qualcuno. Facciamolo con gioia. Buona giornata,
PG&PGR