Carissimi,
il capitolo dodicesimo, che iniziamo a leggere oggi, ha un titolo, a dir poco, particolare: “Della confluenza o dissolvimento dell’anima in Dio”. Cosa vorrà intendere Francesco? Cercheremo di capirlo insieme. Egli parte da un esempio molto pratico dicendo che se mettiamo una sostanza molle (p.e. il preparato per fare un ciambellone!) o liquida in un recipiente, essa prenderà la forma del recipiente stesso. E questo è semplice da capire. Ma, continua, la nostra anima non è né molle né liquida “perché ha la sua figura e i suoi limiti”; la figura è data dalle abitudini, dalle inclinazioni e i suoi limiti dalla volontà propria e “quando si irrigidisce nelle inclinazioni e nelle volontà proprie, diciamo che è dura, ossia testarda e ostinata”. Francesco, è innegabile, grande conoscitore dell’animo umano, sa bene come siamo fatti e quanto, la volontà e il cuore siano spesso “pigri” nell’accogliere le ispirazioni di Dio. Ma Egli, nella sua misericordia, tramite il profeta Ezechiele, continua a dirci: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26). Purtroppo, guardandoci attorno, dobbiamo ammettere che questa profezia non si è ancora del tutto realizzata! Infatti, sottolinea il Nostro, per far cambiare forma alla pietra, al ferro o al legno, ci vogliono degli strumenti adatti come il martello, il fuoco e la scure: Commenta: “Si chiama cuore di ferro, di legno o di pietra, quello che non riceve facilmente gli impulsi divini, ma persiste nella sua volontà, circondato dalle inclinazioni che accompagnano la nostra natura depravata”. Ma per grazia di Dio, esistono anche i cuori dolci, malleabili, teneri e docili. Fermiamoci un momento per chiederci: che tipo di cuore è il mio? Tenero o duro? Trattabile o scontroso? Docile o testardo? Andando avanti nella lettura troviamo una citazione del nostro vecchio amico Plinio (era da un po’ che non si faceva vivo!) che, parlando di Cleopatra (Francesco la definisce ‘infame regina!’) dice che, per una scommessa con Marco Antonio, durante un festino, fece sciogliere una pietra molto preziosa nell’aceto e una volta che la pietra fu liquefatta, la inghiottì. Francesco si serve di questo curioso episodio profano per affermare che “il cuore del Salvatore, vera perla orientale, assolutamente unica e di prezzo inestimabile, gettata in un mare di asprezze incomprensibili, nel giorno della Passione, si è sciolto, disfatto, distrutto ed è colato di dolore sotto il peso di tante angosce mortali; ma l’amore, più forte della morte, ammorbidisce, intenerisce e fa fondere i cuori molto più velocemente di tutte le altre passioni”. L’espressione “l’amore è più forte della morte”, tratta dal Cantico dei Cantici (8,6), tanto cara al Salesio, ricorre spesso nei suoi scritti e nel suo cuore. E nel nostro?
Vi ricordate di San Pacomio? Francesco ce ne ha parlato tempo fa. Oggi ricorre la sua memoria.
Preghiamo
O Dio, il cuore di San Pacomio fu conquistato, quando era ancora pagano e prigioniero, dalla testimonianza generosa di alcuni cristiani. Concedi anche a noi, per sua intercessione, di testimoniare generosamente la nostra fede. Amen
Ed oggi lasciamoci “liquefare” nell’amore di Dio. Buona giornata,
PG&PGR