Carissimi,
Francesco riprende il dialogo tra Gesù e i due fratelli pretenziosi: “Potete bere con me il calice preparato per me (Mt20,22)? Infatti io sono sceso dal cielo per fare la volontà del Padre mio, che mi ha mandato e per completare la sua opera (Gv6,38;4,34)”. E i due cosa rispondono? «Lo possiamo». Che faccia tosta! Ma forse quei due sprovveduti non avevano ben capito cosa intendesse Gesù per “bere il calice”. Sempre interpretando il pensiero di Gesù, il Nostro aggiunge: “Sapete cosa vuol dire bere il mio calice? Non pensate che voglia dire avere dignità, favori e consolazioni; certamente no; ma bere il calice significa partecipare alla mia passione, sopportare pene e sofferenze, chiodi, spine, bere fiele e aceto”. Altro che gloria, onori, ricchezze! Se tanti governanti togliessero dal loro cuore la smania di potere e gloria, certamente il mondo comincerebbe a girare per il verso giusto. Andando avanti il de Sales cita i tanti martiri che hanno bevuto quel calice e per la gran parte di loro il martirio si è consumato in breve tempo. Ma noi, a quale “martirio” siamo chiamati? Con molta probabilità a un martirio incruento, fatto di pazienza, accettazione, sopportazione, un martirio che dura “per tutta la vita…portando ognuno la propria croce…”. Questo discorso, come sappiamo, era rivolto in modo diretto alle suore della Visitazione che, liberamente, avevano scelto quel tipo di vita. Verissimo, ma proviamo a trasportarlo nella nostra vita: rinunciare alla propria volontà, cosa vuol dire per chi “vive nel mondo”? Un papà e una mamma, quante volte rinunciano a se stessi per amore dei figli? Un nonno o una nonna che dopo una vita di lavoro avrebbero il sacrosanto diritto a trovare un po’ di riposo, quante corse dietro ai nipoti per aiutare i genitori che lavorano? Noi, religiosi e religiose abbiamo liberamente scelto, col voto di obbedienza, di non seguire la nostra volontà, ma quante volte due coniugi debbono rinunciare alla propria volontà per assecondare l’altro/a o i figli? Noi siamo chiamati, col voto di castità a “svuotare il nostro cuore di tutti gli affetti impuri e di ciò che non è Dio, non vivere secondo le nostre inclinazioni e umori, ma secondo la volontà divina e la ragione”. Ma un uomo e una donna che hanno scelto la via del matrimonio, non sono forse chiamati a fare lo stesso quando si trovano ad affrontare situazioni particolari? Questo tipo di martirio, afferma Francesco, dura per tutta la vita, ma “alla fine della stessa, se saremo stati fedeli, otterremo una grande corona per ricompensa”. Dalla corona di spine fatta di momenti difficili e di tante preoccupazioni momentanee, potremo passare alla corona di gloria che dura per sempre. Preghiamo:
Signore rendi il nostro cuore capace di amare anche la sofferenza, senza cercarla, ma di saperla accettare. Donaci la forza del tuo Spirito che ha animato la vita di tanti fratelli e sorelle. Amen
Non ci scoraggiamo, oggi, di fronte a qualche piccolo “martirio”. Il Signore ci darà la forza di affrontarlo. Buona giornata,
PG&PGR