Carissimi,
“Come dobbiamo amare la divina bontà immensamente più di noi stessi” è l’imbarazzante titolo del decimo capitolo. Diciamo imbarazzante perché ci mette di fronte alla nostra responsabilità di amare Dio sopra ogni cosa; ma quando questa “cosa” siamo noi stessi…? Aristotele, esordisce il nostro Francesco “aveva ragione nel dire che il bene è veramente amabile, ma per ciascuno principalmente quello proprio, per cui l’amore che abbiamo per gli altri proviene da quello che abbiamo per noi”. Certamente, in quanto pagano, non poteva parlare dell’amore di Dio così come lo intendiamo, o dovremmo intenderlo, noi cristiani: l’amore di Dio precede ogni amore, anche quello per noi stessi (forse si dovrebbe usare il condizionale e dire che l’amore di Dio dovrebbe precedere ogni amore), ma secondo l’inclinazione naturale della nostra volontà. Ancora una volta la volontà viene chiamata in causa. L’Autore dice che i beati, quelli che già contemplano, nella gioia, la gloria di Dio, nella Sacra Scrittura, vengono paragonati “ad un torrente o ad un fiume impetuoso, alle onde dei quali non si può impedire di allagare le pianure circostanti” (Cfr. Sal 46,4). Noi, tutt’al più potremmo essere paragonati ad un…rigagnolo nella stagione estiva…! Ma Francesco, che non vuole infierire, giustifica questo dicendo che noi mortali, ancora pellegrini sulla terra, “non ci troviamo nella necessità di amarlo così imperiosamente, perché non lo conosciamo molto chiaramente”. Certamente la condizione umana limita la nostra capacità di amare Dio “cuore a cuore” in quanto non possiamo vederlo “faccia a faccia”. San Paolo, infatti, dice chiaramente che ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa (gli specchi a quei tempi non riflettevano nitidamente, come oggi, le immagini), ma poi lo vedremo faccia a faccia (Cfr. 1 Co 13,12). Ora, prosegue il testo, possiamo solo intravederlo “attraverso le nostre oscurità, siamo realmente inclinati e attirati, ma non ci troviamo nella necessità di amarla più di noi stessi”. In effetti sono tante, troppe, le cose che, se proprio non ci impediscono di amare Dio sopra ogni cosa, quanto meno, ci distraggono dal suo amore; a volte cose buone, altre un po’ di meno: “Nonostante quella santa inclinazione naturale ad amare la Divinità sopra tutte le cose, non abbiamo la forza per metterla in atto, se quella Divinità non infonde in modo soprannaturale nei nostri cuori la sua santissima Carità”. Ma questa Carità ha bisogno del nostro assenso, della nostra disponibilità, del nostro fargli spazio nel cuore: Dio non ci prende a spintoni per farsi spazio in noi, attende pazientemente che siamo noi a farlo entrare. Ci viene alla mente ciò che lo Spirito dice alla Chiesa di Laodicea: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Preghiamo
Fa’, o Signore, che quando bussi alla nostra porta, non facciamo orecchi da mercante, ma apriamo il nostro cuore per accoglierti con gioia. Amen
Ed oggi? Forse Qualcuno, in qualche maniera, busserà alla nostra porta: non facciamolo aspettare. Buona giornata e buona domenica,
PG&PGR