10 Novembre 2023: Messaggio alla Comunità Parrocchiale

Carissimi,

certamente ricorderete che qualche giorno fa, precisamente martedì scorso, abbiamo accennato a Giobbe (non Covatta!) anticipando quanto oggi ci dice Francesco di Sales: “Il nemico maligno sapeva bene essere questa l’ultima e più sublime prova dell’amore, allorché, dopo aver udito dalla bocca di Dio che Giobbe era giusto, retto, timorato di Dio, alieno dal peccato e saldo nell’innocenza, stimò tutto questo poca cosa in confronto del soffrire afflizioni, con le quali fece l’ultima più grande prova dell’amore del gran servo di Dio.

E per renderle estreme, le fece consistere nella perdita di tutti i beni e di tutti i figli, nell’abbandono da parte di tutti gli amici, in un duro contrasto con i più stretti parenti e con la moglie; ma un contrasto pieno di disprezzo, di derisioni e rimproveri: a questo poi aggiunse la somma di quasi tutte le malattie umane, in particolare di un’ulcerazione diffusa, crudele, maleodorante, schifosa”. Il Nostro, per meglio descrivere la disgraziata situazione di quest’uomo di Dio, aggiunge un po’ di colore: “se non avesse avuto la parola non sarebbe stato possibile capire se era un uomo ridotto a letame, o letame che aveva preso la forma di un uomo”. E alla moglie che lo incitava a ribellarsi a Dio risponde: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» Rassegnazione? No, Giobbe non accetta la sua drammatica situazione con rassegnazione, anche se nel testo del TAD molte volte viene usato questo termine, ma con pazienza, tanto che la sua è diventata proverbiale. Per inciso: un vescovo, una volta, molto saggiamente, disse che la rassegnazione non è un sentimento cristiano. La cosa fece scalpore! Ma procediamo col commento del Nostro: “I beni sono accolti volentieri da tutti, ma ricevere i mali appartiene soltanto all’amore perfetto, che li ama ancor più perché sono amabili soltanto per rispetto alla mano che li dà”. Se volessimo camminare nella volontà di Dio solo tra le consolazioni, rischieremmo di perdere la strada, di distrarci, di confondere la volontà divina con la nostra. Continua: “L’amore, che si incammina verso la volontà di Dio per la via dell’afflizione, avanza sicuro, perché, non essendo l’afflizione per nulla amabile in sé, è molto difficile che non la si ami se non per riguardo alla mano che ce la invia”. E poteva, a questo punto rinunciare ad una similitudine? No, davvero! Infatti dice: “I cani in primavera perdono spesso la traccia e non hanno quasi più fiuto perché le erbe e i fiori mandano in quel periodo un forte odore, che supera quello del cervo o della lepre; così nella primavera delle consolazioni l’amore non sa quasi riconoscere il beneplacito di Dio, perché il piacere sensibile della consolazione alletta tanto il cuore da distrarlo dalla dovuta attenzione alla volontà di Dio”. Il capitolo si conclude con la citazione di santa Caterina da Siena che “avendole Nostro Signore offerto la scelta tra una corona d’oro e una di spine, scelse quest’ultima perché più conforme all’amore”; aggiunge che anche sant’Angela da Foligno fece qualcosa di simile e san Paolo si gloriava della croce, delle infermità e della persecuzione. Domanda: se il Signore ci chiedesse di scegliere tra una corona d’oro e una di spine, cosa sceglieremmo?

Oggi ricorre la memoria del santo papa Leone Magno che nel 452 fermò con la parola l’avanzata degli Unni di Attila.

Preghiamo

O Dio, che non permetti alle potenze del male di prevalere contro la tua Chiesa, fondata sulla roccia di Pietro, per l’intercessione del papa san Leone Magno fa’ che resti salda nella tua verità e proceda sicura nella pace. Amen

E se di fronte a qualche difficoltà, oggi, non avremo la costanza e la pazienza di Giobbe, chiediamo al Signore di attingere alla sua riserva che non si esaurisce mai. Buona giornata,

PG&PGR