Carissimi,
ecco gli altri esempi dei quali parlavamo ieri e che Francesco ci invita a prendere in considerazione dicendo: “E’ stato l’amore che ha mandato il grande Francesco Saverio, povero, indigente, con abiti strappati, qua e là per le Indie e tra i Giapponesi”. E ancora: “E’ stato l’amore che ha ridotto il grande cardinale San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, a quell’estrema povertà, tra tutte le ricchezze che la nascita e la sua dignità gli assegnavano…mangiava soltanto un po’ di pane, beveva soltanto un po’ d’acqua e dormiva sulla paglia”.
Prima di procedere con altri esempi, il de Sales “rinforza” il suo pensiero citando i primi versetti del Cantico dei Cantici dove viene descritta la Sposa che, struggendosi d’amore per lo Sposo, appare come una “ragazza di campagna” indigente. “Certo –commenta- quando le ferite e le piaghe dell’amore sono frequenti e gravi, ci fanno deperire e ci causano la piacevolissima malattia d’amore”. Se qualcuno ci dicesse che queste espressioni sono esagerate, non potremmo rispondere altro se non che esse appartengono al linguaggio salesiano che tende a mettere in evidenza quanto l’amore di Dio coinvolga e, talvolta, stravolga l’animo umano. Infatti si chiede: “Chi potrebbe mai descrivere i languori amorosi delle sante Caterina da Siena e da Genova, o di sant’Angela da Foligno, o di santa Cristina, o della beata madre Teresa (d’Avila), di san Bernardo, di san Francesco?”. Forse oggi la nostra mente è troppo impregnata di “materialismo” per poter comprendere i sentimenti di questi santi che hanno sperimentato nella loro anima questa “piacevolissima malattia d’amore”. L’Autore torna poi a sottolineare l’esperienza del suo santo Patrono la cui vita “non è stata altro che lacrime, sospiri, lamenti, languori, svenimenti deliqui d’amore; ma niente merita tanta attenzione quanto il fatto che il dolce Gesù lo rese meravigliosamente partecipe dei suoi amorosi e preziosi dolori, imprimendogli le sue piaghe con le stimmate”. Con i dovuti limiti, proviamo ad immedesimarci nell’animo del “Poverello” sui monti della Verna. Il Nostro dice chiaramente di aver pensato spesso a quel prodigio e ne trae la conclusione che, crediamo sia opportuno, riportare testualmente: “Ho pensato spesso, Teotimo, a quel prodigio e ne ho tratto questa conclusione. Quel gran servo di Dio, uomo del tutto serafico, contemplando la viva immagine del suo Salvatore crocifisso, raffigurato in un luminoso Serafino che gli apparve sul monte Verna, si intenerì più di quanto si possa immaginare, preso da una inesprimibile consolazione e compassione, infatti, ammirando quello splendido specchio d’amore che gli Angeli non si saziano mai di contemplare, svenne di dolcezza e di gioia! Ma d’altra parte, vedendo anche la viva rappresentazione delle piaghe e delle ferite del suo Salvatore crocifisso, sentì nella propria anima quella spada crudele che aveva trafitto il cuore della Vergine Maria nel giorno della passione, con tanto dolore interiore come se fosse stato crocifisso assieme al suo caro Salvatore”. Altro che “nevrosi isterica” che, secondo alcuni studiosi e teorie psicologiche, è la causa delle stigmate. Lo stesso Padre Agostino Gemelli che contestò quelle di P. Pio, ammise che l’unico stigmatizzato è stato San Francesco di Assisi, affermazione che molti esperti in materia giudicarono “né esatta né prudente”. Questo accade quando l’uomo, anche se mosso da tanta buona fede e volontà, vuole indagare il mistero e l’agire di Dio.
Preghiamo
O Dio, nostro Padre, che ci hai reso partecipi doni della salvezza, fa’ che professiamo con la fede e testimoniamo con le opere la gioia della risurrezione. Amen
Ed oggi facciamo bene attenzione alla tentazione di voler dare sempre una spiegazione umana a tutto. Buona giornata,
PG&PGR