Carissimi,
concludiamo oggi questo primo capitolo del sesto libro del TAD. Francesco ci offre questa considerazione: “L’amore desidera il segreto e sebbene gli amanti non abbiano nulla di segreto da dirsi, pur tuttavia si compiacciono di parlarsi in segreto: ciò avviene, se non sbaglio, in parte perché essi non vogliono parlare che di se stessi e se dicono qualcosa ad alta voce sembra loro che quello non sia più per essi soli; in parte perché non dicono le cose comuni in modo comune, bensì con tratti particolari, che risentono lo speciale affetto con cui parlano”.
In effetti, spiega il Nostro, il linguaggio dell’amore è comune in quanto alle parole: pensiamo a quelle più ricorrenti e usate (a volte abusate) dagli innamorati; ma diventano, per ognuno di loro, particolari ed esclusive. Se questo si realizza nell’amore umano, tanto più sarà vero e profondo quando ci si innamora di Dio. Provate a chiedere ad un bambino se ama i suoi genitori; certamente e impulsivamente dirà di sì; provate a chiederlo ad un adolescente…ci penserà un po’ sopra prima di rispondere di sì che sarà sempre accompagnato da dei “ma…”; in ultimo chiedetelo ad un adulto: anch’egli risponderà positivamente, ma in modo più maturo. Innamorarsi di Dio è un passo importante nella vita di un uomo o di una donna e complicato da spiegare. Per questo cediamo la parola all’Autore che saprà spiegarlo senz’altro meglio di noi: “O Dio, quale differenza tra il linguaggio degli antichi amanti di Dio, quali Ignazio, Cipriano, Crisostomo, Agostino, Ilario, Efrem, Gregorio, Bernardo e quello dei teologi meno innamorati! Noi usiamo le loro stesse parole, ma per essi queste erano piene di calore e della soavità dei profumi amorosi; mentre per noi sono fredde e senza alcuna fragranza. L’amore non parla soltanto con la lingua, ma con gli occhi, coi sospiri e col contegno; il silenzio stesso e la taciturnità tengono in lui il posto della parola. Con te, o Signore, parlò il mio cuore, ti cercano i miei occhi, cercherò il tuo volto, o Signore (Cfr. Sal 27,2). I miei occhi si sono stancati dicendo: Quando mi consolerai? (Cfr. Sal 119,2). Esaudisci la mia preghiera, o Signore, e le mie suppliche, ascolta le mie lacrime (Cfr. Sal 39,13). Non abbia riposo la pupilla del tuo occhio diceva il cuore desolato degli abitanti di Gerusalemme alla loro città (Cfr. Lam 2,18). Vedi, o Teotimo, che il silenzio degli amanti afflitti parla con la pupilla degli occhi e con le lacrime? Principale esercizio nella teologia mistica è certamente quello di discorrere con Dio e sentirlo parlare in fondo al cuore, e siccome questo colloquio si compie con segretissime aspirazioni ed ispirazioni, lo chiamiamo colloquio di silenzio; gli occhi parlano agli occhi e il cuore al cuore, e nessuno, fuorché i sacri amanti, intendono ciò che essi dicono.” Quanto sarebbe bello imparare a colloquiare con Dio nel silenzio. Forse per molti potrebbe sembrare qualcosa di difficile, quasi di irraggiungibile, ma perché non provarci?
Oggi ricorre la memoria di San Damiano De Veuster, il grande apostolo dei lebbrosi dell’isola di Molokai, che nel silenzio ha saputo amare, fino alla morte, quei fratelli e quelle sorelle colpite dal terribile morbo di cui egli stesso è stato vittima.
Preghiamo con le parole della liturgia:
O Dio, che nei misteri pasquali hai aperto ai tuoi fedeli la porta della misericordia, volgi il tuo sguardo su di noi e abbi pietà, perché, seguendo la via della tua volontà, per tua grazia ed per l’intercessione di San Damiano De Veuster, non ci allontaniamo mai dal sentiero della vita. Amen
Ed oggi, potrebbe essere il giorno buono per provarci? Buona giornata e buona domenica,
PG&PGR