Carissimi,
proseguendo nella lettura del primo capitolo, ci rendiamo conto, insieme al Salesio, di quanto le vanità del mondo possano rallentare e, purtroppo a volte, interrompere, il cammino di fede. Miserie del cuore umano, esclama, “che abbandona un bene tanto amabile per attaccarsi a cose così deplorevoli”. Tra le righe emerge il consiglio di non essere troppo sicuri di se stessi: ripensiamo all’apostolo Pietro che, poche ore dopo aver affermato che avrebbe dato la vita per il Maestro (Cfr. Gv 13,37), per vigliaccheria lo rinnega tre volte. Con un po’ di amarezza l’Autore commenta: “Senza dubbio in questa vita mortale, anche se le nostre anime hanno in abbondanza l’amore celeste, non ne sono mai talmente piene che, per la tentazione, tale amore non ne possa uscire”. E’ come una botte piena fino all’orlo, esemplifica il Nostro: il vino non può uscire con facilità, ma esce e rischia di perdersi quando si fa entrare l’aria. Questo per ribadire che “lassù” non dovremo più temere le tentazioni perché esse non troveranno spazio nel nostro cuore ma, finché siamo “quaggiù”, lo diciamo in romanesco, “dovemo ‘sta in campana”. Un esempio? Ce lo offre il testo: “Il vino ben filtrato e separato dalla feccia può essere difeso dal ‘girare’ o fermentare, ma quello che viene lasciato sulla feccia vi è quasi sempre soggetto”. Dopo questo secondo esempio di tipo enologico ci viene il dubbio che il nostro Francesco non disdegnasse un buon bicchier di vino…! Ma andiamo oltre. Facendo ricorso al suo “vecchio amico” Plinio dice ancora che noi “siamo come il corallo, che, nell’oceano in cui ha origine, è come un arboscello verde chiaro, debole, flessibile e pieghevole, ma estratto dal fondo del mare, come dal seno materno, diventa quasi pietra, solido e consistente, cambiando anche il colore verde pallido in rosso vivo”. La stessa cosa, afferma il de Sales, avviene per noi “ quando ci troviamo ancora nel mare di questo mondo, luogo della nostra nascita, siamo soggetti a variazioni estreme, possiamo essere piegati in tutte le direzioni, verso la destra dell’amore celeste con l’ispirazione, verso la sinistra dell’amore terrestre con la tentazione (qui destra e sinistra non hanno nulla e che vedere con i seggi del Parlamento! n.d.r.); ma, una volta strappati da questa condizione mortale, se avremo mutato il verde pallido delle nostre timorose speranze nel rosso vivo della gioia sicura, non saremo mai più mutevoli, ma rimarremo sempre fissi nell’amore eterno”. Ma per lasciare in pace la flora marina che sta bene lì dove si trova, possiamo fare un altro esempio: vi siete mai trovati in montagna o in riva al mare al mattino presto? Per quanto quegli spettacoli della natura possano essere belli, a causa della nebbia non potremo vederli bene; bisognerà aspettare che questa si diradi per gustarli in tutta la loro bellezza. Ci sostiene l’Autore dicendo che “è impossibile vedere la Divinità e non amarla; ma quaggiù, dove la intravediamo solo senza vederla — come in uno specchio — attraverso le ombre della fede, la nostra conoscenza non è tale da non lasciare introdurre di sorpresa altri oggetti e beni apparenti, i quali, fra le oscurità che si mescolano alla certezza ed alla verità della fede, si introducono come volpacchiotti e rovinano la nostra vigna in fiore”. Il capitolo termina con una esortazione che vale anche da avvertimento valido per l’uomo di ogni tempo e ogni condizione e oggi, soprattutto per noi cristiani del Terzo millennio: “Insomma, Teotimo, quando abbiamo la carità, il nostro libero arbitrio è ornato della veste nuziale, della quale, se lo vuole, può rimanere sempre vestito,operando il bene, così come può spogliarsene, sempre se lo vuole, peccando”. Non c’è niente da fare: ‘sto libero arbitrio viene sempre a galla!
Preghiamo
Signore, non permettere che la vanità, la superbia e la superficialità abbiano la meglio sulle nostre scelte e anima la nostra volontà a perseguire sempre il bene. Amen
Domani inizieremo un nuovo cammino di Quaresima; e allora oggi prepariamoci al meglio per percorrerlo insieme. Buona giornata,
PG&PGR