Carissimi,
inutile negarlo: l’aridità spirituale proprio non ci piace ma, il desiderio di liberarcene, per quanto lecito, non deve diventare una sorta di “ossessione. Francesco di Sales, in questa quinta sezione del XIV capitolo, arriva persino ad asserire che “niente è così utile e così fruttuoso, in tali aridità e sterilità, come il non affezionarsi e attaccarsi al desiderio di essere liberati. Non dico che non bisogna, con molta semplicità, aspirare alla liberazione; ma dico che non ci si deve affezionare, anzi bisogna rimettersi con semplicità nelle mani della Provvidenza di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che gli piacerà.” Intendiamoci bene: il Signore non gode di questi nostri momenti infruttuosi, sterili, aridi, ma li permette per renderci meglio conto della nostra fragilità. Il Nostro continua citando ancora l’agonia di Gesù nel Getzemani: “Diciamo a Dio in tale frangente: Padre, se è possibile, allontana da me questo calice; ma aggiungiamo con grande coraggio: tuttavia sia fatta la tua volontà e non la mia, e fermiamoci lì, con tutta la calma possibile.” Ci siamo già imbattuti, in passato, nell’espressione salesiana “santa indifferenza” che possiamo tradurre, con un linguaggio più moderno e accessibile, con “paziente accettazione” della volontà di Dio che “vedendoci in quella santa indifferenza ci consolerà con molte grazie e favori, come quando vide Abramo deciso a privarsi del suo figlio Isacco. Gli bastò vederlo indifferente nell’accettare, e lo consolò con una visione molto gradita e con dolcissime benedizioni.” Solo alla luce di una profonda fede si può capire la “santa indifferenza” con la quale Abramo accetta la richiesta di Dio (Cfr Gen 22,1-18). Anche la vicenda del paziente Giobbe esprime molto bene il concetto tanto da diventare proverbiale: “In ogni genere di afflizioni, sia corporali che spirituali, e nella diminuzione, o addirittura sparizione della devozione sensibile, che ci può capitare, dobbiamo dire con tutto il cuore e con profonda sottomissione: Il Signore mi ha dato delle consolazioni, il Signore me le ha tolte; sia benedetto il suo santo Nome! Se perseveriamo nell’umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori, come fece con Giobbe, che, in tutte le tribolazioni si espresse con queste parole.” Non mancano certamente, anche nei libri “extra-evengelici” del Nuovo Testamento e nella Storia della Chiesa delle origini, insegnamenti a questo proposito; ci limitiamo a ricordare le ciò che dice San Pietro nella Prima lettera (1,6-7): “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”. Accettare sempre la volontà di Dio non è certamente facile e solo il dono della fede, vissuto profondamente e coerentemente, può dare la forza e il coraggio di dire sempre e comunque: sia fatta la Tua volontà.
Signore Dio, è facile per noi invocarti col nome di Padre, santificare il Tuo nome, invocare la venuta del Tuo regno. Ma dire “sia fatta la Tua volontà”, a volte, ci spaventa. Aiutaci ad avere più fede e a credere fermamente che Tu vuoi sempre il nostro bene. Amen
Ed oggi, dicendo la preghiera che Gesù ci ha insegnato, soffermiamoci qualche secondo a meditare sulla nostra adesione alla Sua volontà. Buona giornata,
PG&PGR