Carissimi,
il nuovo capitolo iniziato ieri, ne siamo certi, ci avrà dato l’opportunità di riflettere un po’ di più sui “consigli evangelici” che, ognuno secondo la propria vocazione, è chiamato a vivere. Quello che San Fancesco di Sales suggerisce a Filotea è dunque valido per tutti: “Sforziamoci, Filotea, di mettere bene in pratica queste tre virtù, ciascuno secondo la propria vocazione; è vero che non ci mettono nello stato di perfezione, ma ci daranno l’autentica perfezione; tutti siamo obbligati a praticare queste tre virtù, anche se non tutti allo stesso modo.” Il primo dei consigli che il nostro Santo prende in considerazione è quello dell’obbedienza e dà il titolo a tutto il capitolo. Per capire bene il suo pensiero dobbiamo fare lo sforzo di calarci nel linguaggio e nella mentalità della società del XVII secolo: alcuni termini come “principe, padrone e padrona”, devono essere necessariamente trasposti ai nostri giorni. E’ bene anche richiamare alla mente che la Filotea è rivolta, in modo particolare, ai laici, a coloro “che vivono nel mondo” e quindi, quando parla di obbedienza, non si riferisce al “voto” di obbedienza che professiamo noi religiosi e che, contrariamente a quanto si crede, è senz’altro il più impegnativo da osservare. Il modo col quale ci viene presentato deve richiamare alla mente il quarto comandamento, “onora il padre e la madre”, ampliandone il significato. Dice: “Due sono i generi d’obbedienza: l’obbligatoria e la volontaria. In forza dell’obbligatoria devi obbedire umilmente ai tuoi superiori ecclesiastici, come il papa, il vescovo, il parroco e i loro rappresentanti; devi poi obbedire ai tuoi superiori civili, ossia il principe e i magistrati da lui preposti al governo del tuo paese; poi devi ubbidire anche ai tuoi superiori familiari, ossia tuo padre, tua madre, il padrone e la padrona.” Non possiamo certo negare che quando sentiamo il termine “obbligatorio” tutti “mastichiamo male…!” Ma Francesco vuole dire semplicemente che “nessuno può dispensarsi dall’obbligo di ubbidire ai superiori sunnominati, perché è Dio che ha dato loro l’autorità di comandare e di governare, ognuno nei suoi limiti.” Questo ci tranquillizza un po’… Anche chi esercita il servizio dell’autorità ha dei limiti da osservare: in campo ecclesiale, familiare e, soprattutto, in campo civile e politico. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, su questo, è molto chiaro: «L’autorità non trae da se stessa la propria legittimità morale. Non deve comportarsi dispoticamente, ma operare con una forza morale che si poggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere e del compito assunto (art. 1902)». Nel Vangelo di Giovanni (19,11) lo stesso Gesù dichiara a Pilato: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto». L’obbligo dell’obbedienza e il buon governo devono andare necessariamente di pari passo e noi cristiani siamo tenuti, in primis, ad obbedire alla retta coscienza. Nell’Enciclica “Diuturnum illud” (1881), il papa Leone XIII scriveva: “Una sola ragione possono avere gli uomini per non obbedire: qualora cioè si pretenda da essi qualche cosa che ripugni apertamente al diritto naturale e divino, in quanto ogni volta in cui si vìola la legge di natura e la volontà di Dio è ugualmente iniquo tanto comandare ciò, quanto eseguirlo. Se a qualcuno dunque avvenga di trovarsi costretto a scegliere fra queste due cose, vale a dire se disprezzare i comandi di Dio o quelli dei principi, sappia che si deve obbedire a Gesù Cristo, il quale comandò di rendere «a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio» (Mt 22; 21)”.
Preghiamo
Signore rendici docili nell’obbedienza alla Tua legge e concedi a tutti coloro che hanno il servizio dell’autorità di lasciarsi guidare dal Tuo Spirito nella ricerca della pace, della giustizia e del bene comune. Amen.
Ed oggi chiediamoci: quanto obbedisco alla volontà di Dio? Buona giornata,
PG&PGR