5 giugno 2020: Messaggio alla Comunità Parrocchiale

Carissimi tutti,

dopo aver letto, come indicato ieri i capitoli 2 e 3 del libro dell’Esodo, ci troviamo, proprio come Mosè, di fronte ad una domanda alla quale non è tanto facile rispondere: chi siamo? In che cosa ci riconosciamo? Il verbo di oggi è proprio il RICONOSCERE.

Il primo brano su cui vogliamo riflettere è proprio il primo ingresso di Mosè nel deserto. Egli che conosceva lo sfarzo della corte del faraone e la sicurezza del favore dei potenti, si ritrova a “fuggire lontano dal faraone e si fermò nel territorio di Madian” (Es 2,15b).

In Esodo 2,11-22 si narra dell’omicidio dell’egiziano compiuto da Mosè, della notizia che arriva al faraone, la fuga attraverso il deserto e infine, l’arrivo al pozzo di Madian dove sarà accolto da Reuèl e prenderà in moglie una delle sue figlie.

Anche noi, quante volte abbiamo avuto la tentazione di “fuggire”, allontanarci dal Signore, da quella strada, a volte difficoltosa che Lui ci mette davanti? Abbiamo fatto di testa nostra e ci siamo ritrovati…nel deserto! Novelli Mosè! Il suo è il viaggio nel deserto di un uomo che vede la sua vita ormai fallita, alla ricerca di un luogo dove vivere, di un’occupazione in cui rifugiarsi, ma senza sogni e senza desideri. Un deserto attraversato da un riconoscimento interiore di smarrimento, di delusione; nel deserto egli si perde e non riesce più a riconoscersi. Egli era l’uomo dell’azione e del comando, unito ad un forte senso della giustizia (anche a Madian si mette a difendere le sette figlie del sacerdote). Ma da quando è fuggito nel deserto, questa sua indole attiva ed etica insieme, è come lacerata dentro. Mosè rimane l’uomo che opera, che realizza cose giuste, ma che non ha più chiaro chi è, non riesce più a riconoscersi.

Quella di Mosè, in questa fase, è la storia dell’uomo che non riesce più a riconoscersi nel disegno di Dio, un Dio che lo ama sopra ogni altra creatura. Non lo ama per le opere, per quanto buone possano essere, che compie; lo ama perché è suo Padre e lo sostiene sempre tra le Sue braccia. Solo abbandonandoci a questo abbraccio possiamo trovare la vera pace interiore. Scriveva Silvano Fausti, un biblista morto qualche anno fa “Se non sono in pace significa che sono altrove. Se sono in pace significa invece che sono in me stesso davanti a Dio”. In fondo, ciò che ognuno di noi ricerca, non è forse la pace interiore? Potremmo essere in pace con il mondo intero, fare cose straordinarie che meritino il plauso universale, ma se non siamo in pace con noi stessi, nella piena coscienza di essere figli amati da un Dio che è nostro Padre e nostra Madre allo stesso tempo, faremmo molta, molta fatica a riconoscere e seguire la nostra vocazione cristiana.

Preghiamo:

Signore, a volte ci capita di allontanarci da Te e ritrovarci soli, spaventati, nel deserto dei nostri limiti e delle nostre incertezze. Donaci un cuore grande aperto a riconoscere la Tua presenza in ogni momento ed accettare il dono del Tuo Amore che è più grande del nostro cuore. Amen.

Con l’augurio di riconoscere sempre la strada che porta al Signore, buona giornata,

PG&PGR