PARTE V – Gli scritti: la carità e la santità
Pure, in quegli ultimi anni Francesco compose due libri che lo avrebbero consacrato Dottore della Chiesa, dopo averlo reso la figura più rappresentativa della sua epoca. Sono l’Introduzione alla Vita Devota, o Filotea, e il “Trattato dell’Amore di Dio” o Teotimo. Questi due “poveri libretti”, come li definiva Francesco, furono insieme un prodigio di sintesi e di novità: di sintesi perché ereditavano tutte le migliori dottrine spirituali del passato; di novità perché le consegnavano all’avvenire con nuova formulazione e nuovo respiro. “Il Trattato dell’amore di Dio” nasce da un’idea “popolare”. “Qualche anno prima (a Francesco) era venuto in mente di scrivere una “Vita di santa Carità” in cui avrebbe riservato un posticino anche a una certa Pernette Boutey, un’umile valligiana, vedova, che aveva sopportato per anni un marito di pessimo carattere, aveva gestito un negozietto di mercerie ed era vissuta piena di amor di Dio e di carità con tutti. Francesco la considerò sempre una santa e pianse quando gli annunciarono la morte della “sua Pernette”. – “Dio ,scriveva, l’ho incontrato tra le nostre più aspre e alte montagne, dove molte anime semplici lo amano e lo adorano in perfetta verità e semplicità, e i caprioli e i camosci saltano qua e là per gli erti ghiacciai, annunciando le sue lodi…” L'”Introduzione alla vita devota”, invece, Francesco la dedicò a una nobildonna, la signora di Charmoisy per insegnarle ad amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze, anche in mezzo alle “convenienze” del mondo.
La Chiesa aveva sempre annunciato a tutti i fedeli la vocazione e il dovere della santità, ma di fatto questa santità sembrava possibile quasi soltanto a coloro che abbandonavano il mondo e si chiudevano in un chiostro, a una élite di anime raffinate e distaccate dalle contingenze della vita. Ma ciò che più aveva impressionato Francesco negli innumerevoli contatti con gli ambienti più diversi, era quell’anelito di santità che si poteva percepire dovunque. Nelle corti più mondane, come in quella di Parigi, gli era avvenuto di incontrare anime profondamente mistiche; nei salotti della nobiltà aveva visto fiorire movimenti di novità cristiana; amore appassionato per Dio aveva trovato nei bambini, in giovani fidanzati, tra i militari, tra la gente povera e incolta delle campagne, nelle baite sperdute tra le più alte montagne, nelle bottegucce degli artigiani. La “devozione” – nel linguaggio di Francesco – non è altro che la carità, l’amore di Dio, ma colto nel momento in cui mobilita ardentemente tutto l’essere e tutte le facoltà dell’uomo nel desiderio di aderire a Lui. Ma soprattutto essa genera un desiderio e un itinerario di santità, possibili ad ogni cristiano, in ogni circostanza. Si tratta solo di non avere “un cuore mezzo morto”, ma desideroso di rispondere a Dio, utilizzando i mezzi normali dell’esperienza cristiana, applicandosi ai doveri propri ad ogni “stato di vita”, purché si operi “con diligenza, fervidamente e prontamente”. Francesco non chiede atteggiamenti eccezionali, o ricerca del sublime, ma solo “un amore vivace”, capace di generosità: un ideale che tutti possono raggiungere se solo si lasciano opportunamente guidare.
In quell’inizio del secolo 17° era come se tutta la cristianità tirasse un sospiro di sollievo, perché l’alto ideale della santità veniva liberato da ogni impaccio, da ogni sovrastruttura, da ogni moralismo, ed era collocato – con stile semplice, affascinante, popolare – alla portata di tutti. Il Martyrologium Romanum riporta la sua commemorazione nell’anniversario della morte, cioè il 28 dicembre, ma per l’inopportuna coincidenza con l’ottava di Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, anniversario della traslazione della salma da Lione ad Annecy.
Carissimi tutti,
siamo certi che questo “ripasso” della vita del nostro santo François de Sales sia stato, per tutti, utile per entrare meglio nella sua spiritualità. Ma prima di entrare nel pieno di questa, è doveroso un accenno alla sua poderosa opera letteraria. L’edizione originale è composta di ben 26 “tomi” curati dalle Visitandine del Monastro di Annecy. Forse non tutti sanno che uno dei maggiori studiosi italiani, della spiritualità salesiana, e traduttore di buona parte delle opere del Salesio è stato P. Ruggero Balboni, primo parroco di questa parrocchia, dal 1961 al 1967 e poi di nuovo dal 1975 al 1980. Un lavoro che lo ha impegnato per sette anni, di cui, gli ultimi tre prima della sua morte (1992), trascorsi a Collegno (TO) come collaboratore nella parrocchia di San Massimo lasciando in quella comunità un incancellabile ricordo.
Preghiamo:
Signore, San Francesco di Sales con la sua predicazione i suoi scritti ha precorso i tempi anticipando di ben tre secoli e mezzo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e il magistero dei pontefici che hanno guidato la Chiesa dopo questo grande evento ecclesiale. Donaci di camminare in quella santità della vita quotidiana che egli ha indicato come accessibile ad ogni uomo ed ogni donna che si lascia guidare dal Tuo Spirito d’Amore.
Amen.
A tutti buona giornata e, sull’esempio di Francesco di Sales, ….facciamoci santi,
PG&PGR