Carissimi,
dopo la pubblicazione, su questo nostro sito, dell’omelia del Cardinale Angelo Amato, tenuta in occasione della beatificazione di P. Luigi Brisson, vi propongo ora la traduzione italiana dell’Omelia del vescovo di Troyes, Mons. Marc Stanger, tenuta domenica 23 settembre, durante la celebrazione eucaristica di ringraziamento, nel piccolo villaggio di Plancy l’Abbey dove il Beato Luigi è nato e dove ha terminato il suo pellegrinaggio terreno.
P.Gianni
Ieri era tutta una Chiesa diocesana, erano due famiglie religiose, era tutto il popolo di Dio che si rallegravano per la proclamazione di un nuovo Beato, Luigi Brisson, sacerdote della diocesi di Troyes, fondatore degli Oblati e delle Oblate di San Francesco di Sales.
Oggi è nel suo villaggio, là dove è nata la sua vocazione, là dove egli è venuto a cercare la pace nelle ore difficili, che prosegue il nostro grazie a Dio per l’incomparabile dono della santità e al quae noi innalziamo la nostra preghiera attraverso l’intercessione del Beato Luigi Brisson.
A voi tutti, uomini e donne di Plancy, membri della comunità parrocchiale e abitanti del villaggio, chevi siete mobilitati per festegiare degnamente uno di voi, a voi Oblati e Oblate di tutto il mondo, a voi rappresentanti delle autorità civili e militari, rivolgo il mio più cordiale saluto. Oggi il Padre Luigi Brisson ci riunisce al di là di ogni frontiera, di ogni condizione, di ogni appartenenza. Che questa comunione, frutto della sua opera, sia la nostra forza, oggi e domani, per il bene di tutti.
Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato c’è qualche cosa di sconcertante nel contrasto tra la preoccupazione che Gesù vuole condividere con i suoi discepoli lungo la strada verso Gerusalemme e la discussione che essi stanno facendo. Gesù sente il bisogno di confidare loro la propria angoscia: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma dopo tre giorni risusciterà»(Mc 9,31). Una angoscia che è, al tempo stesso, disponibilità al progetto del Padre che diventa sempre più chiaro.
Evidentemente, nonostante la familiarità che c’era tra Gesù e i suoi discepoli, nessuno di questi comprende il suo cuore e il suo pensiero. Le sue parole sono drammaticamente chiare. Ma, – oggi si direbbe un po’ grossolanamente – essi non sono sulla stessa lunghezza d’onda, il loro cuore e il loro spirito sono lontani dal cuore e dallo spirito del Maestro, le loro preoccupazioni non sono quelle di Gesù. Lui è già al sacrificio che è chiamato a fare della sua vita, vicino alla morte; essi si preoccupano di sapere chi sarà il primo, si preoccupano della gloria, della carriera, della superiorità, del potere.
Questa lontananza tra il pensiero di Dio e i nostri pensieri, questa distanza tra l’essenziale del Vangelo le nostre preoccupazioni umane, è un’esperienza costante nella storia dell’umanità. Noi non siamo molto differenti dai discepoli e anche noi abbiamo bisogno di essere istruiti dal Signore. Questa distanza è quella che il padre Luigi Brisson ha potuto constatare nella sua stessa storia, tra il progetto di Dio che lo ha condotto a compiere un’opera più grande di lui, che lo spingeva ad andare e ad inviare i suoi al di là delle frontiere per annunciare il Vangelo a tute le nazioni, e la legittima preoccupazione, molto umana, del suo vescovo per le necessità pastorali della sua diocesi. Non vorrei appesantire l’opposizione tra il P. Brisson e il suo vescovo. Tale distanza ci fa comprendere la diversità che esiste tra chi mette al primo posto le esigenze del Cristo, dell’annuncio del Vangelo e della fede, e coloro che fanno prevalere le esigenze dell’uomo, della sua organizazione, dei sistemi umani, dei sentimenti, delle ambizioni e delle preoccupazioni.
La santità “si annida”, se mi permettete questa espressione, nel cuore di questa tensione tra i progetti umani e il desiderio – che era quello del Cristo – di fare la volontà del Padre.
Nelle parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli per istruirli, egli non respinge l’umano, ma lo trasforma: «Se qualcuno vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti». Molte volte Gesù tornerà su questo tema. Egli non sembra contestare la ricerca di un primato da parte dei suoi discepoli, ma ne rovescia la concezione. Il primo è colui ce serve e non colui che comanda. Pensiamo a tutte le inutili discussioni che ci sono nelle nostre comunità parrocchiali, forse anche religiose, per essere i primi, i responsabili di questo o di quello, dimenticando di essere solo dei servi.
Anche il Padre Brisson ha avuto umanamente dei dubbi. Egli ha resistito alle ripetute sollecitazioni della Madre Chappuis, superiora del monastero della Visitazione di Troyes, per ragioni molto umane, non sentendosi, proprio a causa della sua umanità, all’altezza del messaggio che questa donna incarnava, la volontà di Dio di cui ella era mediatrice. (La Madre Chappuis, con grande determinazione, per più di venti anni, ha insistito affinchè il P. Brisson fondasse una congregazione di religiosi che avesse come fine la diffusione dello spirito di San Francesco di Sales – n.d.t.).
La santità non esclude la conversione, anzi, è un lungo cammino, faticoso, che porta a dimenticare se stessi, a far posto alla volontà di Dio nella propria vita. Ed è soltanto quando la Chiesa proclama qualcuno santo o beato che si può dire che il cammino è giunto al termine. A dire il vero, dal momento che non tutti hanno questo riconoscimento esplicito da parte della Chiesa, sarà soltanto quando ci sentiremo dire: «Venite benedetti dal Padre mio» che noi potremo dire che il nostro cammino è giunto al termine.
L’essenza del messaggio che ci viene offerto dalla Beatificazione del Padre Brisson, non è quello di mettere semplicemente in risalto le virtù eccezionali di questo uomo di Dio, ma di sottolineare che è attraverso la propria umanità che si diventa santi. Dio non ci chiama ad essere dei super uomini capaci di andare oltre le possibilità umane, ne di essere degli uomini a metà, accettando una posizione di inferiorità, lasciandoci umiliare, ma di essere semplicemente uomini, completamente uomini, come lo è stato Gesù, fino alla fine, ma capaci di amare profondamente. Amare come? Amare come Cristo ha amato, vuol dire servire l’uomo, il progetto di Dio per l’uomo, non pensare solo a se stessi, ma riconoscere nell’umanità la vocazione ad essere tempio di Dio. Questa è stat la risposta del P. Brisson quando si è messo al servizio delle operaie delle industrie tessili e della loro dignità, quando ha lottato contro la de cristianizzazione e il materialismo della società, quando ha assunto il compito di educatore. Voleva essere a servizio della bellezza interiore delle creature che egli sapeva riconoscere in quanto più vicino al Creatore.
Un Beato, lo comprendiamo bene alla luce del P. Brisson, non è un uomo fuori del normale. Nel brano del Vangelo Gesù si rivolge a degli esseri umani, con tutti i limiti della loro umanità, in quanto amare come il Cristo ha amato non è impossibile per l’uomo. Il Beato Luigi Brisson lo dimostra magnificamente. Gli apostoli ha raggiunto questa meta servendo l’uomo nei suoi bisogni essenziali, prima di pensare a se stessi. Accogliamo la stessa chiamata avendo coscienza che anche noi abbiamo un cammino da seguire. La nostra società, in pieno sconvolgimento, ha bisogno di nuovi punti di riferimento, di amore e di servizio. Ed essa li attende da noi. Saremo dunque capaci di accogliere in nome del Cristo “un bambino come questo?” (cfr Mc 9,37)